lunedì 6 giugno 2011

Grazie Beppe! Tu ci hai insegnato a credere negli Uomini e non solo ai bravi calciatori.

Era nell'aria. Mancava solo la destinazione finale. Inutile aggrapparsi alla speranza che Beppe potesse fermarsi. Il nostro Sannino ci saluta, ci ha regalato un anno intenso, ricco di emozioni e speranze che hanno fatto vivere a tutta la città un sogno: avvicinarsi in modo così prorompente alla serie A alla prima occasione utile è davvero impresa titanica. Solo gli eroi sarebbero riusciti a destreggiarsi nello stesso modo in un campionato così lungo e difficile.
Lui eroe lo è, lo è stato e ora lo sarà nuovamente nella sua sfida: la serie A.
Eppure non è cambiato nulla, Beppe è sempre "Beppe nostro". Nostrano, istintivo, ma soprattutto umano. Le sue parole vanno ai ragazzi, le sue parole ci toccano il cuore quando ci dice: "volevo essere io a dirvelo, non volevo leggeste un comunicato dell'ANSA". Questo è l'uomo che ha rapito i nostri cuori, l'allenatore che ha portato ai vertici il Varese, promozione dopo promozione, lavorando sempre in modo silenzioso, umile, metodico. E i suoi ragazzi hanno imparato a diventare uomini prima che grandi calciatori. Mai un gesto contestabile o una parola fuori posto. Mai un comportamento da idoli, anche se tali sono diventati nella nostra anima. Il segreto è questo: rimanere uomini, persone normali, lavorare duramente per provare a raggiungere obiettivi insperati. E chiunque abbia avuto l'onore di lavorare con questo splendido uomo ha imparato la lezione. il ricordo che si ha di Sannino è quello reale, modesto, legato ai gesti semplici, alle parole schiette, a quel motto che l'ha reso famoso e che è diventato il leit motiv di tutta una città: Fun Cool.
E' con le lacrime agli occhi che mi trovo qui seduta a scrivere parole d'addio che mai avrei pensato di poter pronunciare, sapevo che avrebbero lacerato il mio cuore di tifosa, ma sapevo che le stesse parole avrebbero provocato orgoglio: quest'uomo ci ha insegnato che solo con la schiettezza e la semplicità si può ancora crescere nel calcio. Io quest'uomo l'ho conosciuto. E mi ha insegnato tanto. Mi ha insegnato a soffrire, a correre, a buttare il cuore oltre ogni ostacolo. A vedere il calcio con occhi diversi, a credere nelle persone e a leggere nei loro occhi la purezza interiore.
Beppe, tu ci hai lasciato un bagaglio pesante da dover gestire, il tuo addio, verso una crescita professionale che di certo ti porterà ancora più lontano, ci intristisce ma ci rende orgogliosi.
Non posso parlare per altri, ma posso dirti ciò che sento nel mio profondo: ti sono grata, caro Beppe, per aver lottato con l'animo pulito in un mondo che ad oggi sembra sempre più facile da sporcare. Tu ridai fiducia a chi nel calcio vede solo ombre. Tu ci regali la luce, quella interiore che ci consente di vedere orizzonti spalancati davanti a noi.
Caro Beppe, la tua schiettezza ci ha dimostrato che il modo migliore per combattere è con il sudore: della fronte e dell'anima, mai paga di soddisfazioni ma orgogliosa di poterne ottenere.
Beppe, che dire: so che a Siena sarai l'idolo dei tifosi, che troverai un gruppo pronto ai tuoi ordini. Qui la modestia devi lasciarla un po' da parte, almeno nell'approccio: le tue gesta parlano per te. Non sei più il signor nessuno. Rimani Sannino e sono sicura che anche là, tra le verdi terre della toscana, in molti proveranno a storpiare il tuo nome, per farlo rinascere ancora una volta come San-Nino, l'uomo del miracolo. Perchè tu ci hai abituati così, a fare miracoli, a moltiplicare pochi pani e pesci e farli diventare uno sfarzoso banchetto per tutti i commensali. Fuor di metafora, caro Beppe: tu ci regali ogni giorno un motivo per continuare a migliorarci. E concludo, queste mie poche righe con un monito, che è tuo: "Sannino è Sannino" e il giorno che qualcuno dovesse farti cambiare, tu opponiti. Rimani ciò che sei, rimani l'uomo della porta accanto, rimani umile tra la gente, ma sempre unico tra gli unici.

sabato 4 giugno 2011

I miei ragazzi meravigliosi... altro che calcio champagne!

Eccomi qui, a pensarvi quasi in procinto di partire per la seconda parte del viaggio verso il sogno. Eccomi qui a sfogliare pagine, alcune importanti per il mio futuro, altre solo dense di ricordi che vi riguardano. Un po' di nostalgica amarezza per questo brusco stop della mia avventura tra voi, imposto dagli eventi, che peraltro ripeterei in toto, a testa alta, coerente con ciò che penso e con ciò che ho sempre fatto. L'affetto che mi lega a tutti voi, ragazzi miei, a persone che hanno riempito il mio cuore di ricordi è inalterato.
Mi ricordo come fosse oggi il primo giorno tra di voi. Mi sembra così lontano a volte, mi sembrate così cresciuti da allora, diventati uomini oltre che bravi calciatori.
E tra poco più di un'ora inizia il viaggio che vi porterà a Cerea, su quel campo voi dovrete giocare con il cuore e mettere in scena quel talento che vi ha trascinati, prima sul campo e poi nell'anima dei vostri tifosi.
Perchè voi siete uomini umili, perchè il calcio è fucina di tante storpiature del carattere a volte: ma voi no, non siete caduti nella rete degli pseudomotivatori. Siete rimasti illesi nello scontro tra titani che vi ha visti protagonisti di un anno meraviglioso e avete dimostrato sul campo che il lavoro, alla fine, paga sempre.
E il Boldo, su quella panchina, su cui ha lasciato il cuore, lascerà un'eredità pesante da gestire. Due anni di sofferta lotta, domenica dopo domenica, in piedi su quello spicchio di campo che a volte faticava a contenerlo. Lui, portiere con la testa sempre sugli schemi, vi ha guidati in una sfida imponderata, in un percorso su cui proprio pochi avrebbero scommesso. Ha colto in ognuno di voi le doti migliori e anche i punti deboli, su cui lavorare e sui quali attaccarvi per poter ottenere sempre il massimo.
Mi ricordo, come fosse ieri, il primo incontro con il Ripa: pantaloncini arrotolati in una calda giornata estiva, quello sguardo pulito e schivo, accompagnato dalla gentilezza nelle sue parole e soprattutto dei suoi gesti. Ho subito pensato che fosse un po' stravagante, con quei capelli spettinati, ma nel suo sguardo la determinazione di volersi imporre, di voler dimostrare, a volte a modo suo, facendomi perdere anni di vita in tribuna, il suo valore. E a contendergli il posto, dopo l'intellettuale Teruggi, che ha lasciato in cerca di continuità maggiore, un compagno d'avventura stimolante, perchè anch'egli da maglia a cifra singola. Xavier, nome quasi esotico, con quegli strani copricapi che mi hanno fatto tanto sorridere, a scoprire un volto pulito e un potenziale tecnico degno del suo compagno di avventura: ardua scelta per Boldini, tra i due portieri a disposizione. Ed entrambi hanno timbrato il cartellino anche negli straordinari, ogni volta che, chiamati in causa, hanno regalato emozioni e parate da manuale ai tifosi che li adorano. Di Lele Baldo è troppo facile fare elogi e allora voglio partire dalla stagione scorsa, che lo ha visto infortunarsi proprio all'apice del successo. Difficile fare ipotesi sulla sua completa ripresa, ma Lele ha lottato come un leone, un mastino scatenato contro la sfortuna. Solo chi non aveva conosciuto la sua tempra poteva parlarne come di giocatore alla fine di una carriera. Ma è lo stesso Baldo che abbiamo visto vittorioso in ogni intervento in quasi tutto il campionato giocato dal primo minuto? Si è lui, coriaceo, preciso, puntuale, una bandiera per i compagni, un punto di riferimento per il reparto, una spina nel fianco degli avversari. E con lui il capitano, Cecco Lanza. Che a vederlo ti sembra mansueto, ma in campo si trasforma. Imponente la sua presenza, la sua guida sui compagni. Le sue parole mai a caso, che all'inizio potevano sembrare rimproveri senza senso: appena arrivato ha subito messo in chiaro la sua leadership. Esperienza e imbattibilità aerea ne hanno fatto un'icona di questo Verbania. Accanto a lui sono due i giocatori che più spesso si contendono un posto: da una parte il talento verdeoro Cagnini, giocatore stilisticamente perfetto e tatticamente educato ai movimenti di Boldini. Duttile, sia in difesa che a centrocampo. Umile, di poche parole: sono i fatti a parlare per lui. Stagione altalenante, combattuta tra infortuni e scelte tecnico-tattiche che spesso l'hanno fatto sedere in panchina. E da gennaio, il regalo che mai speravo di poter ricevere. Un giocatore che era rimasto impresso nella mia labile memoria calcistica. Qualcuno lo chiamava "solo polpacci", ma Pippo Biscuola è molto, molto di più. Arrivato nel momento più difficile, aveva scontato una squalifica che avrebbe demoralizzato chiunque al suo posto. Ci ha messo poco a farsi amare dal pubblico: la partita contro gli ex, gli avversari storici del Verbania, che lo vedono svettare imperioso e andare a segno, salvo poi dover abbandonare il campo e rientrare successivamente con quella maschera nera, degna dei gladiatori. Pippo Biscuola, un calciatore potente e un ragazzo sensibile, che ha accettato di rimettersi in gioco da subito. Prima contro il timore della squalifica e poi contro il dolore fisico. Imperator! E stiamo per arrivare alla sinistra della difesa. E mi rifaccio alle ultime formazioni, perchè da questa parte sono passati molti dei giocatori agli ordini di mister Giancarlo. Ma ora quella fascia è affidata a Fabio, alias "il Maldini di Verbania", Ramalho. Un cognome che sembra volergli affibbiare a tutti i costi le movenze brasiliane. Un giocatore giovane, di poche, pochissime parole, che però basta incrociare il suo sguardo per capire e leggere nei suoi occhi blu come il cielo la determinazione, la cattiveria calcistica, la voglia di far bene. Sempre mista a un po' di timore, ma in campo partita dopo partita, pur con qualche inevitabile momento no, ha regalato momenti da archiviare. Come nell 'ultima contro il Cerea, quando dopo la discesa in fascia dell'avversario, lo recupera, lo lascia sul posto, rubandogli la palla e uscendo dalla propria area con il piglio degli eroi. Un ragazzo che di certo promette bene, che non sono riuscita a conoscere al di fuori dal rettangolo di gioco, timido e riservato, come ogni campione. E che dire, da un giovane di belle speranze, a un giocatore che forse giovanissimo non è più, ma che mi sembra pura eresia il fatto che possa appendere le scarpette al chiodo. E lui è il Nico. Tutti sanno che di questa formazione lui incarna il prototipo del mio calciatore ideale, per tanti motivi, ma soprattutto perchè, due anni fa, la prima volta che lo vidi giocare mi fece esclamare:"ma chi è: Cambiasso?". La prima partita, movenze da fuoriclasse, posizione in campo impeccabile e soprattutto lanci millimetrici a servire i compagni. Diventava notizia il suo lancio sbagliato. Ecco, il Nico è questo ma tanto altro. Trascinatore all'occorrenza, ordine e sicurezza a centrocampo. Con colpi da manuale che strappano applausi e una tempra dovuta all'esperienza. Qualche acciacco lo ha un po' demotivato, lasciandolo a soffrire in tribuna o in panchina, ma Nico: tu sei calciatore nell'anima. E l'altra parte di sviolinata è in arrivo per il suo sostituto naturale a centrocampo, nonchè compagno di mille avventure. Lo avevano definito "troppo lento" all'inizio, credevano fosse stato un azzardo e invece ha stupito gli scettici facendoli diventare ultras personali. Lui è Ronald Rabozzi, il re delle punizioni, quasi un Andrea Pirlo dai quaranta metri e un Gattuso a centrocampo. Le sue parabole sopraffine hanno messo un bel sigillo a questo campionato, facendomi diventare preveggente, ogni volta che ha messo a terra quel pallone e si è cimentato nel tirare la punizione. Un eroe che ora è stato disarcionato da cavallo da un fastidio tendineo, che soffre a vedere gli altri giocare, mentre lui deve rimanere ai margini. Ma signori: che giocatore. E adesso, dopo pura tecnica passiamo all'estro e alla velocità, ai colpi che non ti aspetti e alle giocate ubriacanti. Perchè queste sono le caratteristiche di Ciavarella e Di Iorio. Giocano da esterni: alti, medi bassi.... ovunque li metti interpretano la partita. Mentre Teo è più ordinato, metodico, veloce, in grado di ubriacare sul posto l'avversario prima di farlo sedere e scappare con il pallone,dirompente nelle discese in fascia, Ciava è più imponente nell'uno contro uno, usa i piedi come le mani, fa girare il pallone a suo piacimento, diventa la spina nel fianco degli avversari quando si inventa magie balistiche e arremba nell'area avversaria a cercare il proprio gol. Poco sfruttato, artefice di una stagione sfortunata il Maio. Fascia da capitano in onore della gara contro la squadra del cuore, la Sampdoria, ma poi una stagione discontinua. Problemi fisici gli impediscono di poter avere quella continuità che serve alla squadra e a lui stesso per dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, che è diventato un centrocampista di livello, con propensione offensiva. Più volte Boldini l'ha schierato nel tridente, e ogni volta il buon Maio ha scritto la sua pagina di partita. E con lui Violi, più acerbo, ancora all'inizio della sua "carriera", ma con caratteristiche degne di lode nel suo repertorio. Un giovane che non deve perdere la testa, ma che lavorando duramente potrebbe diventare fondamentale per molte squadre. Ora siamo pronti per l'attacco finale. Con la squadra quasi in viaggio per Cerea voglio spendere qualche parola sul tridente che, gioco forza, anche domani dovrebbe solcare un campo difficile. E parlo di quelli che bonariamente e ironicamente, voglio sottolinearlo, qualcuno ha chiamato la banda Bassotti: avercene, aggiungo io. Sto parlando dei gemelli Fernandez e di Tiboni. Andrea e Marco, che ancora qualche volta, fuori dal campo, faccio fatica a distinguere, li ho amorevolmente soprannominati "Piccoli Lord". Mi hanno sempre stupita per la loro educazione, per il loro modo pacato di porsi agli altri. Ma... in campo: che trasformazione! Piedi divini, movenze da fantasista Andrea, da predatore dell'area Marco. Entrambi hanno nel loro repertorio gestualità che in pochi sanno realizzare. il gol siglato a Omegna lo ricordano ancora in quello stadio, i passaggi al bacio scambiati con i compagni, i dribbling ubriacanti agli avversari: sono quelli che fanno accelerare i battiti. E se già loro hanno i piedi fatati, domani Tiboni completerà il terzetto. Questo giovane, con la faccia pulita e il sorriso furbo ha sofferto i campi pesanti del lungo inverno, ma dopo l'esperienza di Fiuggi, al rientro anche dalla convocazione in Nazionale sembra rinato. Occhi interessati lo stanno seguendo, io lo supponevo. La classe in lui è evidente e soprattutto è sbocciata in tenera età: e quindi ha una strada spianata davanti a sè. Tiboninho caro, questo è il mio consiglio: non farti mai portare sulla cattiva strada dalla gloria, non ti montare mai la testa, non credere di essere mai arrivato in alto. In questo mondo di imparare non si smette mai. Se avrai l'umiltà di continuare a lavorare duramente di certo potrai arrivare dove desideri: il giorno in cui ti dirai, ecco, sono arrivato, quello sarà il giorno dell'inizio del declino. Mi sento un po' "mamma" a dirti queste parole, ma ho sentito e seguito tante storie di ragazzi catapultati in un mondo più grande che hanno perso la bussola.
E dopo la "predicozza" ecco tornare sui giusti binari, per toccare con mano il vertice del tridente del Boldo: Tonati e Dainese. "Pippo mio" arriva in estate, un bagaglio di esperienza da mettere a servizio della squadra. Velocità, spirito di sacrificio, umiltà, intuito in area: ma la stagione è difficile. Il gol latita e piovono critiche che il nostro Tona supera, lavorando a testa bassa e sempre e soltanto a servizio della squadra. Un pendolino, in ogni zona del campo: quanti chilometri percorsi a recuperare palloni, ad impostare il gioco al centro o in fascia. Ma il gol, mannaggia, sembra proprio non voler arrivare in modo frequente come tutti si potevano aspettare. "Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore... un giocatore lo vedi dal coraggio, dall'altruismo e dalla fantasia"... così cantava De Gregori e queste sono le parole che meglio ti descrivono. Ma domenica, il tuo gol, ha fatto scendere una lacrima. E l'abbraccio della tua squadra ha rigato anche l'altra guancia. Sono dolorante al pensiero che uno stupido cartellino rosso abbia interrotto una stagione travagliata, proprio quando potevi prenderti qualche stralcio di campo. Ma anche questo è il calcio. E un destino simile lo sta vivendo bomber Dainese. Classica punta di peso, come i gol pesanti andati a segno, come quel rigore calciato con la caviglia dolorante. Motivatore, un po' showman con i compagni nei momenti di svago del pre-partita. Una classe che non stenta ad emergere e un infortunio proprio nella penultima fatica, che ti tiene lontano dal campo. Ma so che sarai nuovamente su quella panchina domani, pronto all'ennesimo sacrificio se dovessi essere chiamato in causa, pronto all'ennesimo "presente" per stare con i tuoi amati compagni e dare il tuo prezioso contributo. Così come Alex, peperino esterno, che è riuscito a sgusciare tra le maglie difensive avversarie creando quel terremoto in area che sconvolge e produce smarrimento anche nei difensori più esperti. Non hai avuto molto spazio quest'anno, ma non demordere, hai campi verdi sterminati di fronte a te. E un pensiero che vuole raggiungere tutti i giocatori che a turno, dalla Juniores, si sono sedui su quella panchina. Lipari, Romano, Zampini, Finotti, Magni ... non ho avuto il tempo di conoscervi a fondo, ma ho apprezzato le vostre prodezze che per il secondo anno consecutivo vi hanno portati in vetta al campionato.
E, voglio concludere tessendo le lodi di chi ha lavorato con voi su quel campo. Il Bolzo, che vi ha fatti correre fino a "sputare sangue" per farvi arrivare in grande forma anche con i primi caldi estivi e il Boldo.
Un uomo, un maestro d'orchestra e di vita, uno scudo erto a proteggervi ogni volta che ce n'è stato bisogno. Un allenatore con gli attributi, capace di far uscire il massimo da chiunque. Un allenatore che non si basa solo sul gioco in campo, un allenatore che valuta l'uomo in ognuno di voi, che vi sprona a far sempre meglio, che vi "tortura" seguendo a gran voce ogni vostro passo.
E queste ultime parole, vanno proprio a lui: non mollare mai.

venerdì 3 giugno 2011

Arrivati al traguardo ... ma se fosse l'ultimo?

Manca poco, pochissimo, un nulla al mio traguardo, eppure qualcosa mi sta provocando quell'ansia che non è la classica forza interiore, non è l'angoscia heideggeriana che comunque guida l'uomo nella consapevolezza della vita. E' un sentimento strano, di inadeguatezza, di non essere all'altezza, o forse semplicemente di stanchezza atavica che trascino ormai da cinque anni, ma concentrata soprattutto negli ultimi due. Mesi senza sosta, densi di rinunce e sempre con gli occhi verso la meta. Meta che sembra essere lì, pronta ad essere raggiunta, sorpassata, lasciata alle spalle per nuovi traguardi: ma sarà proprio così?
Questa sensazione che mi accompagna sembra non volersene andare, nemmeno razionalizzandola riesco a capire se è dovuta ad eventi reali o solo a paranoie mentali.
Quello di cui sono certa è che la mia scelta l'ho fatta consapevolmente, con la voglia di costruire su questa un futuro: non è una scelta di comodo, un ripiego, un modo per prendere tempo. Questo è il punto chiave: la mia passione può avere anche facce diverse, ma si concentra sull'unico obiettivo, quello che è capitato nella mia vita, ma che poi ho scelto. E ora mi sembra che tutto vacilli sotto i miei piedi...