venerdì 23 marzo 2012

"Omegna c'è!". Alzala Picazio, alzala!

(foto Alberto Ossola)

Non poteva esserci gioia più grande in questo weekend tutto dedicato alla Final Four di Coppa Italia. “Omegna c’è” recita lo slogan impresso con colori rossoverdi su quella maglietta candida che ha invaso, letteralmente, gli spalti di un PalaBorsani stracolmo. Ma andiamo con ordine. Iniziamo con calma a ripercorrere questi due giorni di passione intensa. E non mi soffermerò sul piano tecnico per descrivere l’emozione che questa squadra regala a tutti noi, ci hanno già pensato altri.

Quello che vorrei capisse chiunque si trovasse a rileggere l’epopea di questa conquista è la passione che trasuda da ogni poro di chiunque di noi, di voi, abbia partecipato con il proprio calore alla conquista di un trofeo che forse in pochi, ad inizio stagione, pensavano di poter riporre su una bacheca fatta ad hoc. Lo ribadisce il patron di questa squadra delle meraviglie, Ugo Paffoni, visibilmente soddisfatto ed emozionato, che dopo aver ricordato il batticuore nel momento in cui è suonata la sirena, si sofferma sulla quasi incredulità, ex post, nel vedere proprio la sua squadra sollevare l’ambito trofeo. “Sapevo di avere una squadra forte, ma non mi aspettavo così tante vittorie” e intanto si lascia andare ai festeggiamenti insieme ai suoi giocatori, insieme ai tifosi che l’hanno seguito nella sua Omegna per un brindisi corale. Una coppa che mette un sigillo importante a questa cavalcata trionfale di metà stagione e che potrebbe essere, come sottolinea lo stesso patron “il primo di molti altri traguardi!”. Tornando al parquet sul quale i nostri ragazzi si sono prodigati in azioni spettacolari, battendo prima Trento e poi Torino, la cornice di pubblico dei due giorni è stata quel tocco in più che ha sicuramente fatto sorridere le casse legnanesi, ma che ha dato un sostegno instancabile a Picazio e compagni. Soprattutto nella finale. La partita di regular season appena giocata al PalaRuffini faceva sentire ancora la sua forte eco:  due supplementari per avere la meglio sulla squadra di Faina. Ma la finale è una gara a sé e la Paffoni è partita in quarta, lasciandosi alle spalle i torinesi da subito. Solo nel terzo quarto la squadra di Faina ha provato a rialzare la testa, ma i ragazzi di Di Lorenzo non hanno ceduto di un solo canestro alle offensive avversarie e anzi, hanno costruito un ultimo periodo quasi perfetto, che poi ha consacrato anche Casadei come MVP del torneo. Si, perché la stampa che ha affollato la tribuna dedicata al PalaBorsani è rimasta fortemente impressionata dalla prestazione corale della Paffoni. I commenti positivi, gli elogi sono stati distribuiti, a seconda delle situazioni di gioco, ai ragazzi in rossoverde, ma su tutti sono stati due i nomi più gettonati: perché se Casadei ha sollevato il trofeo personale, è apparso lampante agli occhi di tutti, il talento puro del nostro Bertolazzi, autore di una gara quasi impeccabile nel ruolo più delicato. Deus ex machina della vittoria, quasi allenatore in campo, dotato anche di colpi che sfruttando il linguaggio cinematografico definiremmo effetti speciali, che ha dettato ogni singolo atto di una partita che rimarrà nella storia. E questa vittoria arriva in un momento chiave della stagione, in un momento particolare anche per un elemento importante di questa società. Coach Di Lorenzo, quando si trova a parlare del momento più emozionante della vittoria lo sottolinea: “Il mio abbraccio con Gianluca Trentini”. L’addetto stampa della Paffoni, lo speaker che con la sua voce, la sua energia, trascina il palazzetto durante le gare casalinghe ha vissuto nei giorni scorsi il momento più tragico. La prematura scomparsa della sua cara mamma, Emanuela, l’ha proiettato in questo evento con un peso sul cuore. Ecco allora che questa vittoria, questa grande emozione, questo abbraccio che attesta il grande affetto di un uomo di sport e di tutti noi nei suoi confronti, deve essere l’ennesimo punto fermo da cui ripartire.

E le ultime righe a disposizione le voglio dedicare agli oltre seicento cuori rossoverdi: una cornice degna di platee importanti, eterogenea, festante, emozionante. Grandi e piccini, un muro bianco tra i colori presenti al palazzetto. Un tocco di colore dato dalle sciarpe, dai palloncini colorati, dalle voci sollevate in cielo per sostenere i propri eroi. E al momento della premiazione, con l’Inno di Mameli in sottofondo, un miscuglio di lacrime e risa, tutti sul parquet ad abbracciarsi, a toccare con mano il metallo luccicante del trofeo, a rubare strette di mano ed autografi. “Omegna c’è”, dicevamo e la Coppa Italia sollevata da Picazio  tra gli applausi, ne è la prova.

giovedì 8 marzo 2012

Io, Donna, che amo questo sport “maschio”

Improvvisamente anche il calcio si declina in  una sfumatura rosa, in concomitanza con quella che, istituzionalmente, è la giornata dedicata alle donne.
Ma le donne, che come me amano in modo incondizionato questo sport e soprattutto questo benedetto, maledetto lavoro, non hanno bisogno di un giorno, di una festa, per sentirsi parte di questo mondo che, in parole provocatorie, descrivo “maschio”.
Questo perché le difficoltà che ogni giorno ci troviamo ad affrontare, ci portano a dover mettere ancora più energia nello sgomitare contro i pregiudizi che ci accompagnano. E non è un luogo comune, mentre lo è il fatto che la donna, nel calcio, possa essere solo un contorno.
Eppure il movimento calcistico è zeppo di figure femminili che instancabilmente si dedicano con passione al loro lavoro, ma tutto questo viene considerato come qualche cosa di ancora stonato, come una presenza a volte infastidente, dai “signori, maschi”, del calcio.
Siamo nell’era post-moderna, viviamo in una società però ancora ancorata all’età della pietra, con i suoi futili pregiudizi, con tutti i suoi limiti che sembrano ai più obsoleti, ma che nessuno cerca di superare.
Amo il calcio, sono donna: e allora?
Proprio in questa giornata in cui da più parti si levano voci che formano il coro della tolleranza, si tolleranza, avete capito bene, la mia voce si leva per cercare invece di scuotere le menti che ancora ritengono inutile o inopportuno il nostro lavoro.
Non veniamo prese in considerazione per scelta, non per incompetenza, perché siamo un elemento di disturbo alla normale vita professionale che si svolge sui campi.
Qualcuno riesce a darmi una spiegazione plausibile a questa discriminazione? (per fortuna non universalmente diffusa).
La maturità della società in cui viviamo, viene valutata anche nelle piccole sfumature. Ma questa condizione è molto più simile ad una linea netta, che indica un limite, per qualcuno invalicabile.
In questo giorno in cui, per molti, abbiamo il diritto di parlare anche noi, biblicamente nate da una costola maschile, voglio alzare la voce, per affermare ancora una volta che sono stanca, stufa, indignata di essere considerata solo una presenza scomoda. Amo il calcio, dedico a questo sport ogni attimo del mio tempo, dedico a questo mondo ogni energia a mia disposizione. Ditemi che non ho la competenza per parlarne, se questo è un giudizio oggettivo. Ma non ditemi che non posso farlo perché sono una donna.

Quando una lingua non ha abbastanza parole per descrivere l'emozione!

Non bastano le migliaia di parole presenti nella nostra ricca lingua per descrivere l'emozione di ritorno da una vittoria al  cardiopalma consumata al Palaruffini di Torino.    Un attimo: rewind!
L'ennesimo successo della Paffoni Fulgor Omegna e dei suoi eroi, autentici guerrieri scesi in campo su un parquet caldissimo ancora prima della palla a due che decreta l'inizio della gara. Un botta e risposta continuo, tanto che non bastano i tempi regolamentari per decretare il vincitore. Ci vogliono anzi due overtime per far assaporare alla Paffoni quella vittoria che vale non solo i due punti in palio, ma addirittura il titolo di campione della propria Divisione con molte giornate di anticipo. La partita giocata sui nervi contro un avversario di livello, che tra le sue fila aveva di certo un leader maximo, in grado di siglare ben 38 punti personali. Ma i nostri lupacchiotti non appena hanno visto la luna salire dalle montagne torinesi hanno ululato ancor più forte. Trascinati dalle qualità individuali ma soprattutto uniti come un gruppo unico come questo solo sa fare. Una macchina che si muove perfetta, dove ogni singolo ingranaggio ha il suo momento e il suo compito. E ancora una volta il miracolo che si realizza. I nervi sono saltati al Torino nel finale. I ragazzi di casa dopo essersi guadagnati, con un parziale impeccabile in pochi secondi di distanza dalla sirena dell'ultimo quarto, il primo overtime, a tratti sembrano più lucidi e trascinati dall'ultimo canestro che è valso il pareggio. Ma Bertolazzi e compagni non sbagliano e tirano furoi gli artigli, i canini e tornando ad ululare alla luna, a sette secondi dal termine trovano la tripla che rimette tutto in parità. E nell'ultimo supplementare i ragazzi di Di Lorenzo salgono in cattedra, non senza regalare qualche altro sospiro ai tifosi presenti sugli spalti, non senza provocare manate nei capelli da parte degli avversari. Gocce di sudore caldo, sulle guance dei nostri eroi e una folata di gelo nella schiena degli avversari ormai pronti alla resa. Un risultato frutto di una tenacia insistita, con gli occhi costantemente fissi sull'avversario, con la sfrontatezza di riuscire a rubare palla a chi, agari con molti più centimetri, pensava di essere inarrivabile. Un grazie di cuore a tutti voi, atleti meravigliosi, ragazzi semplici, che con il vostro sorriso e il vostro impegno ci fate sentire ancora una volta parte di qualche cosa di grande, che ci fate vivere l'emozione di sentirsi santi per un giorno, ad un passo dal paradiso degli immortali. E il mio grazie personale va a quel giocatore che con le sue movenze ha fatto scattare in me una scintilla, che con la sua passione trascina i compagni, che con le sue indicazioni in campo diventa quasi un altoparlante a disposizione del coach, che i suoi compagni seguono senza battere ciglio. A te eroe di mille battaglie tutto il mio affetto, per regalarmi ogni volta qualche cosa di grande.