Improvvisamente anche il calcio si declina in una sfumatura rosa, in concomitanza con quella che, istituzionalmente, è la giornata dedicata alle donne.
Ma le donne, che come me amano in modo incondizionato questo sport e soprattutto questo benedetto, maledetto lavoro, non hanno bisogno di un giorno, di una festa, per sentirsi parte di questo mondo che, in parole provocatorie, descrivo “maschio”.
Questo perché le difficoltà che ogni giorno ci troviamo ad affrontare, ci portano a dover mettere ancora più energia nello sgomitare contro i pregiudizi che ci accompagnano. E non è un luogo comune, mentre lo è il fatto che la donna, nel calcio, possa essere solo un contorno.
Eppure il movimento calcistico è zeppo di figure femminili che instancabilmente si dedicano con passione al loro lavoro, ma tutto questo viene considerato come qualche cosa di ancora stonato, come una presenza a volte infastidente, dai “signori, maschi”, del calcio.
Siamo nell’era post-moderna, viviamo in una società però ancora ancorata all’età della pietra, con i suoi futili pregiudizi, con tutti i suoi limiti che sembrano ai più obsoleti, ma che nessuno cerca di superare.
Amo il calcio, sono donna: e allora?
Proprio in questa giornata in cui da più parti si levano voci che formano il coro della tolleranza, si tolleranza, avete capito bene, la mia voce si leva per cercare invece di scuotere le menti che ancora ritengono inutile o inopportuno il nostro lavoro.
Non veniamo prese in considerazione per scelta, non per incompetenza, perché siamo un elemento di disturbo alla normale vita professionale che si svolge sui campi.
Qualcuno riesce a darmi una spiegazione plausibile a questa discriminazione? (per fortuna non universalmente diffusa).
La maturità della società in cui viviamo, viene valutata anche nelle piccole sfumature. Ma questa condizione è molto più simile ad una linea netta, che indica un limite, per qualcuno invalicabile.
In questo giorno in cui, per molti, abbiamo il diritto di parlare anche noi, biblicamente nate da una costola maschile, voglio alzare la voce, per affermare ancora una volta che sono stanca, stufa, indignata di essere considerata solo una presenza scomoda. Amo il calcio, dedico a questo sport ogni attimo del mio tempo, dedico a questo mondo ogni energia a mia disposizione. Ditemi che non ho la competenza per parlarne, se questo è un giudizio oggettivo. Ma non ditemi che non posso farlo perché sono una donna.