lunedì 19 maggio 2014

Luoghi comuni e forse anche meno comuni...

Capita, quando si hanno un po' di minuti di tempo libero, di imbattersi in notizie che ti fanno riflettere.L'argomento questa volta è la carenza di posti di lavoro, associata all'indolenza di presunti candidati e disoccupati in genere. Come sempre, è troppo semplicistico far di tutta l'erba un fascio. Come sempre ci sono sostenitori accaniti in ognuna delle posizioni messe a confronto. Bene. Che la crisi abbia messo in ginocchio la nostra nazione, credo sia un dato incontrovertibile. Lo vediamo, lo leggiamo, lo ascoltiamo praticamente ovunque. Chiunque di noi è a contatto con la disperazione, perchè a volte di disperazione si tratta, che questo momento storico infonde nell'animo di persone a noi care o, magari in noi stessi. Come molti mi sono trovata nella condizione di dover affrontare, giorno dopo giorno, la costante attesa relativa a risposte che non arrivano mai. Mi sono trovata nella condizione di dover abbassare le mie ambizioni lavorative, di veder naufragare i miei sogni senza a vere a disposizione scialuppe di salvataggio, non solo adeguate ad una navigazione alternativa, ma almeno utili per rimanere a galla. E poi ti si apre un mondo, quello dei pressapochisti, quello composto da gente che fa dell'abbaiare il proprio mestiere, che fa dei giudizi sparati ad alta voce il suo modo di comunicare ed insultare, anche, chi .si trova in condizioni di inadeguatezza. Leggere che il lavoro c'è ma che siamo troppo arroganti o pigri per accettarlo, oltre ad essere diventato un luogo comune, è anche un insulto all'intelligenza o alla buona volontà delle persone.
Mi spiego meglio. Spesso queste considerazioni vengono proferite da chi non vive quotidianamente il dramma di dover trovare il suo posto nel mondo. Spesso queste parole vengono scritte da chi, realmente, non si è mai trovato nella condizione di disperazione. Allora si, certo, siccome i disoccupati, per significato insito nel termine, sono alla ricerca di un lavoro, questo vuol dire, secondo gli accusatori, che qualsiasi cosa venga proposta dal mercato debba essere accettata, perchè altrimenti non sei nemmeno più degno di poter alzare la testa o proferire parola. Io mi chiedo se tutte quelle persone che si lasciano andare al giudizio facile e spesso semplicistico, abbiano mai avuto la possibilità di mettersi in gioco davvero, se si siano mai trovate anche di fronte a cocenti delusioni, a sfiorare un ideale per poi vederselo strappare via. Perchè, per mia modesta convinzione, io ritengo un lavoro, quell'attività svolta in cambio di un congruo compenso. Altrimenti siamo tutti hobbisti e possiamo permetterci di svolgere mansioni più o meno impegnative, più o meno adeguate solo per scelta, per sollazzo, per noia. Quanti di quelli che insultano chi è alla ricerca di un impiego si sono mai davvero chiesti il motivo per cui, a volte, capita di rifiutare un'attività perchè non ti consente di cambiare, effettivamente la condizione di partenza? Mi sono trovata in questa situazione, a volte, di fronte a proposte che sembravano allettanti, ma che poi, conti alla mano, magari andavano ad aumentare lo stato di disagio. Giusto per non parlare del nulla, ecco un esempio calzante. Agenzia di comunicazione. Rispondo ad un annuncio in cui vengono richieste le competenze che ritengo di poter offrire. Arrivo al colloquio, con le mie mille speranze riposte nella mia borsa immaginaria. Il primo impatto è anche positivo, l'attività è interessante. Ma al momento di fissare i punti cardine della collaborazione, ecco svelato il mistero della latitanza. 500 euro per lavorare sette giorni su sette, con disponibilità al lavoro serale "d'altronde noi lavoriamo anche sugli eventi" e ovviamente con un contratto di quelli che sembrano studiati ad hoc per essere lasciato in un cassetto. "Arrivederci e grazie per l'attenzione". E a questo punto magari ti senti anche dire: "è un'opportunità che ti sei lasciato sfuggire, allora non è vero che cerchi lavoro, che ne hai bisogno". E come questo caso, ne potrei raccontare molti altri,. Certo. Se mi fossi trovata nella condizione di risiedere a poca distanza da quell'ufficio, se avessi avuto in loco la mia casa, la mia famiglia e la loro instancabile pazienza nello spalleggiarmi nell'ennesima avventura, se avessi avuto vent'anni di meno e fossi stata alla prima esperienza, certo, con tutto questo backgroud avrei fatto l'ennesimo stage, di certo malretribuito rispetto all'impegno richiesto, ma di sicuro impatto nel mio curriculum futuro. Peccato che il mio curriculum a volte sia un ostacolo nei confronti di chi offre posizioni lavorative diverse, che però non contemplano l'assunzione di una persona "troppo specializzata" (è successo anche questo!) per poter svolgere mansioni più "normali" o elementari che dir si voglia.  Allora mi chiedo, ma tutto questo cotinuo abbaiare, polemizzare, puntare il dito contro una classe disagiata accusata anche di essere "mammona, con la sindrome di Peter Pan, bambocciona" e cose simili, da che basi arriva?
Non è ora di mettere in un cassetto i luoghi comuni e di creare davvero delle opportunità? Non è ora di liberarsi dagli stereotipi e dalle false riforme per andare nell'unica direzione che consenta di far crescere questa nazione in maniera congrua e magari equa? Il mio augurio, nei confronti di tutti quelli che ora si sentono in posizione di forza, è che possano capire, magari provandolo, cosa vuol dire sentirsi in balia degli eventi, sentirsi nelle mani di un nugolo di persone che, volontariamente a questo punto, si scagliano contro la disperazione delle persone.Ma a costo di sentirmi etichettare in mille altri modi, auguro a tutte quelle persone di provare la sensazione che ci pervade quando, non a causa nostra, siamo costretti ad abbandonare, accantonare, chiudere a chiave per sempre in un forziere, ogni sogno ed ogni ambizione.